Stazione di Calalzo di Cadore |
Se do uno sguardo alla mia vita di viaggiatrice sono consapevole di aver visto luoghi che da bambina mai avrei immaginato di raggiungere. Ho preso tanti aerei e ho attraversato molti aeroporti. Ho vissuto quel particolare momento in cui le porte automatiche dell'uscita si aprono e per la prima volta tocchi una terra da conoscere. Poi arriva il tempo in cui un po' per l'età o per altri motivi ti fermi e vai in cerca dei luoghi del cuore. Di paesaggi cresciuti come edera dentro di te, che avevi accantonato. Ricordi intensi legati a suoni, a odori, a colori, ad un'altra stagione.
Grea era (ed è) un paesino del Cadore che guardava da un lato il lago e dall’altro il sole. Una strada in ripida salita che lasciava la strada principale e si arrampicava sconnessa verso un gruppo di case.
Calalzo visto da Grea |
Grea era (ed è) un paesino del Cadore che guardava da un lato il lago e dall’altro il sole. Una strada in ripida salita che lasciava la strada principale e si arrampicava sconnessa verso un gruppo di case.
All’inizio, quando ero piccola (la prima volta avevo sei mesi),
il vecchio taxi della stazione montana
caricava noi bambini e i bagagli e ci portava fino a destinazione. Gli adulti
andavano a piedi. L’auto, a portarci tutti proprio non ce la faceva.
Più tardi quando papà aveva
la seicento, e non si può dire fosse proprio un bravo guidatore, la macchina
ad un certo punto si fermava, noi
bambine e la mamma scendevamo e spingevamo.
Che sollievo se partiva alla prima spinta!
Era come veder sollevare una mongolfiera: il nylon sul tetto si gonfiava sopra
le valige ed a fianco la gabbia del canarino che nessuno a casa ci teneva.
Grea era fresca: grosse tazze di
caffè latte dolci al mattino seduti su
lunghe panche di legno.
E l’odore! Qualcosa di
marchiante, di antico. Come la fontana, messa in una piazzetta che
era l’unico posto un po’ in piano del paese.
Grea - Fontana del paese |
Le nostre mani di bimbi
che si immergevano nell’acqua fredda dopo una passeggiata, con l’occhio attento
per paura che arrivasse “Pellegrin”, il mandriano. Che senz’altro ci avrebbe
sgridato perché lui lì ci lavorava e se l’acqua si sporcava le mucche non
bevevano. Allora ci avrebbe rimproverato con la rudezza selvatica di certi pastori e dei
contadini.
Ogni anno non si era mai soli:
c’erano sempre nonne e poi zie e cugini che stavano con noi o in una casa
vicina.
E papà che durante l’anno era
sempre silenzioso, là si animava. Grea era la sua vitamina: si
attivava, diventava un capo, un punto di riferimento. E faceva amicizia con la gente
del paese. C’era Toni della fabbrica di occhiali. Sior Bepi, che ci portava
certi pugnetti di funghi per il risotto come un tesoro. La signora Lucia:
come cucinava le salsicce lei, non le cucinava nessuno. E Giovanni che
raccontava dell’emofilia, la malattia del paese, perché in una comunità così piccola le unioni avvenivano tra portatori
e così si trasmetteva ai nuovi nati.
Il paese nei primi anni era vivo:
c’era il negozio di alimentari, la macelleria, il giornalaio che vendeva orologi da muro tirolesi e perfino la merceria. E si intrecciavano amori.
Il sabato sera le cugine grandi,
con i capelli cotonati e le gonne a palloncino, ballavano in uno stanzone della
cooperativa. E noi piccole a spiare, a spettegolare, a inventare, a immaginare.
C’erano prati profumati di
ciclamini (solo a Grea ce ne sono così tanti ancora oggi) che i primi anni scordavamo in treno al ritorno. C’era la chiesetta
sul bosco che faceva da crocevia per i
sentieri: giù verso il campo sportivo con i cespugli di ginepro e a sinistra
verso il ruscello.
Perché solo a Grea ci sono così tanti ciclamini? |
Chiesa sul bosco di S. Antonio - Grea |
Anno dopo anno Grea metteva
radici nei nostri piedi (le vacanze duravano un mese e più) con quel legame che unisce profondamente uomo e
natura. Cuore e emozioni. Luoghi conosciuti e passioni. Una appartenenza che
diventava una pretesa.
Ma il fiore all’occhiello del
paese era la veduta dal colle della chiesa: di giorno una cartolina con il
lago, il paese, le strade, le montagne intorno. Di notte un presepio rubato al
Natale, un incanto di luci e lucine. Sotto un cielo stellato. Con l'accompagnamento dei
grilli.
Chiesa di S. Leonardo Grea- sullo sfondo monte Tudaio |
Quando si lasciava il paese verso la chiesetta di San Antonio, ricordo che papà guardava sempre l'ultimo solido fienile a sud con vista sugli "Spalti di toro", perfetto da riadattare. Ci diceva con rammarico:
« Ah se vincessi la lotteria, se
riuscissi ad avere i soldi…»
Ma è anche vero che di anno in
anno Grea si spegneva. Dapprima sparì la merceria, poi il macellaio poi il tappezziere - quello perché aveva messo
incinta Pinetta e di sposarla non ne voleva sapere-.
La strada nuova tutta larga e piena di tornanti, fatta per
facilitare la gente ad entrare in paese, sembrava fatta invece per aiutarla ad uscire: i giovani a studiare, gli uomini e le
donne per lavorare nelle occhialerie della valle.
Il campo sportivo venne spianato
degli abbeveratoi e delle panchine e fu oltraggiato con la costruzione di un
rumoroso poligono di tiro. A ogni colpo di schioppo scappavano gli uccellini,
le vipere a cui ci eravamo abituati e le mucche di “Pellegrin” vennero macellate.
Il sentiero per il ruscello franò
durante una piena.
Lago Centro Cadore |
Spalti di toro |
Grea in una cartolina d'epoca |
Fienile dei sogni |
Grea adesso, un po' come tutti i paesi di montagna che non hanno impianti sciistici, è un posto dove la villeggiatura estiva è andata scemando.
La vecchia fabbrica di occhiali abbandonata e distrutta, credo da un incendio, andrebbe abbattuta.
Villeggianti legati al luogo hanno ristrutturato case e ci vanno in estate o per funghi.
Da lì partono alcune belle passeggiate come al borgo di Rizzios o a Domegge. Per non parlare poi della Croda rifugio Baion (salita impegnativa/950 m. di dislivello) dove alcune famiglie del paese hanno un Tabià con vista impareggiabile sull'Antelao e Marmolada.
I ragazzi del posto miei coetanei non erano per niente di mentalità chiusa. Abituati ogni anno ad incontrarsi con turisti e famiglie della pianura erano moderni ed aperti.
Alcuni hanno sposato villeggianti di città ed io mi inchino di fronte a queste giovani che hanno lasciato Venezia o Padova per andare a vivere in un paese dove gli stimoli sono ben pochi. Sono comunque matrimoni che hanno funzionato.
Dieci anni fa siamo tornati in gruppo: parenti e amici legati al luogo. Con torte e un cartello di evviva abbiamo fatto una rimpatriata. E' stato una specie di pellegrinaggio con tante foto, ricordi e saluti.
Un bisogno di stringersi intorno agli affetti come solo questo paese fa sentire.
I ragazzi del posto miei coetanei non erano per niente di mentalità chiusa. Abituati ogni anno ad incontrarsi con turisti e famiglie della pianura erano moderni ed aperti.
Alcuni hanno sposato villeggianti di città ed io mi inchino di fronte a queste giovani che hanno lasciato Venezia o Padova per andare a vivere in un paese dove gli stimoli sono ben pochi. Sono comunque matrimoni che hanno funzionato.
Dieci anni fa siamo tornati in gruppo: parenti e amici legati al luogo. Con torte e un cartello di evviva abbiamo fatto una rimpatriata. E' stato una specie di pellegrinaggio con tante foto, ricordi e saluti.
Un bisogno di stringersi intorno agli affetti come solo questo paese fa sentire.