Eilat ha l’odore della paura.
Strisciante. Come i kalashnikov dei soldati sulla spiaggia, in piedi accanto
ai turisti che prendono il sole.
Oltre il mare abbacinante, dove
lo sguardo cerca orizzonti, sono ormeggiate le navi militari e le zaffate del
catrame giungono fino a riva, sporcano la sabbia e convivono con i pesci
tropicali.
Amo il deserto, più di ogni altro
luogo, forse più delle nostre montagne fatte di rocce bianche crude che
spaccano il cielo.
Il deserto è nudo: non ha bisogno
di parole.
Saint-Malo è l’odore dei mari del
nord e di rena. Di maree che svuotano il
mare al mattino e lasciano senza fiato i molluschi che aprono le valve per respirare e buttano
nell’aria il loro odore di pesce vivo.
E
le pietre delle mura della città sporcano le mani di rosso e di terra
bagnata e la mente corre verso battaglie di navi e arrembaggi di corsari. E vele che si gonfiano al vento verso porti lontani.
E scogliere rivestite di
erica battute da venti che spazzano qualsiasi altra vegetazione, e
gonfiano i capelli e l’impermeabile e ti riportano al tuo odore.
Eilat è sotto assedio. Soffocata
dal deserto del Sinai e dal Wadi Rum. Eilat
ha l’odore dell’illusione: della pace raggiunta, di un divertimento libero e sereno.
Come i giochi dei delfini che segui in
acqua con un istruttore e che non riesci mai a toccare, sguscianti anche se vicini e quando esci dall’acqua il
deserto ti assale, prepotente con i suoi colori.
San Francisco ha l’odore delle
sue morbidezze, delle sue colline. Delle stravaganze accettate. Dei cable car
che sferragliano verso il mare. Delle
grida dei gabbiani che ti riempiono le orecchie. E dei profumi di Chinatown che
dal cuore della città coprono la musica rap dei posteggiatori.
E poi i colori pastello delle
case in collina e il rosso mattone del Golden Gate.
Eilat è l’odore dei falafel che compri in un botteghino bisunto vicino al
porto e lo stupore dei ceci verdi del ripieno che ha il sapore di carne fritta.
Il deserto ti respira attorno, silenzioso eppure consapevole, cosciente di
averti già catturato.
Il venerdì sera la città si
riempie degli israeliani che arrivano da Gerusalemme, da Tel-Aviv, da Haifa carichi
di abbigliamenti vistosi, di lustrini e di parenti. Riempiono gli alberghi, le
strade, i ritrovi notturni e l’odore di
festa e dei banchetti stordisce i turisti.
Eilat è salva, ancora per un weekend.
.
Aigues- Mortes sa di sale e di
colori forti e di contrasti. A due passi dalla palude, dai canali melmosi che
navighi lungo rive piene di tronchi morti e carcasse di buoi, ti assale la
marea rossa che si infrange addosso alle torri medioevali e infuocate di questa
città- fortezza. E le narici si riempiono del fresco che respiri all’interno,
la pelle si apre a questa frescura inaspettata all’ombra delle mura, degli
alberi, dei cespugli, delle siepi. Gli occhi si innamorano del verde per la
prima volta, con l’abbandono del primo amore.
A Eilat l’Intifada per ora non ha
fatto morti. Ci sono stati è vero degli attentati, ma qui in questo lembo di
città che ha paura di se stessa, tra due confini nemici, la sorveglianza è
pressante e scrupolosa. A volte paranoica, soffocante.
« E’ solo questione di tempo, prima
o dopo toccherà anche a noi» ci dice Aren, la guida che abbiamo conosciuto. E
la sua voce è un misto di rabbia e
rassegnazione. E lui che settimanalmente
passa i confini e va in terra nemica, sa che non basta una palizzata a mutare
il terreno. Che il deserto, in Egitto, in Israele o in Giordania, è sempre lo
stesso. Sono solo gli uomini che gli hanno dato un altro nome, che hanno avanzato
pretese, messo reticolati. Hanno
spianato autobus vuoti e li hanno allineati in fila ai check point, hanno
costruito muretti di cemento per rallentare l’avvicinamento dei mezzi a motore,
hanno messo posti di blocco a sorpresa controllati da uomini armati.
Ed Eilat torna ad avere soprattutto l’odore della
paura.
Douz sa di datteri e di banane. E di sabbia che ti
avvolge come la neve dentro una di quelle bocce di vetro che compri come souvenir e che scuoti per far
cadere. Douz è il deserto più leggero. Incredulo come un sogno, lattiginoso
come un ricordo offuscato.
Credo di non avere nessun’ altra
immagine così trasognata come delle stradine di Douz poco prima che il giorno
diventi notte, quando la sabbia si solleva leggera, impalpabile e uniforme,
riempie l’aria di meraviglia, arriva fino alle cime dei palmeti senza violenza e non è nebbia, non è neve. E’
un mondo di latte irreale e sospeso, un sacco amniotico. E delle luci si
accendono come stelle lontane e dilatano il biancore e scaldano il cammino.
“Oggi, 29 gennaio 2007 , un
kamikaze palestinese si è fatto esplodere in un negozio di Eilat. Ci sono stati
quattro morti e alcuni feriti”.
Autore: Luciana Buttignol
Autore: Luciana Buttignol
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