giovedì 14 luglio 2016

CONCORSO " I CAMMINI DI SANTIAGO"




CINQUE TAPPE PER SANTIAGO
 
Queste  sono due, per chi fosse interessato a leggerle tutte ecco il link dove è pubblicato l'intero racconto.

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Astorga

Ci sono piazze che si aprono l’una sull’altra, come piccole stanze di giochi. Occhieggiano da dietro i vicoli, si circondano di persone sedute lungo i portici. Chiacchiere curiose di gente  socievole ma chiusa. Piccoli mondi in vetrina.
Talvolta i suoni degli altri sono richiami che escludono. Servono a delimitare il territorio, a segnare confini.
A Foncebadon l’ostello è ancora chiuso, le persiane abbassate. Invece dentro i caminadores si preparano alla partenza. Fanno colazione, si incerottano i piedi.
Buen camino.
Il mio comincia da qui, in salita, attraverso pascoli e paesaggi di montagna. Fino alla Cruz de Ferro.
Una montagna di sassi con una croce sopra, fatta di ricordi, di momenti brutti da buttare via. Il mio sasso è quasi quadrato, un po’ smussato e compatto, l’ho raccolto lungo il percorso.
Paolo, ne ha presi tre.
“La mia vita”, ha detto. “ E’ divisa in tre parti. La terza, quella che mi appresto a vivere, l’ho scelta più lunga. Ho ancora tante cose da fare”.
Tre sassi per  una vita: io non l’avrei mai pensato.
Il cammino è un continuo saliscendi. Quando ti aspetti che dietro l’angolo ci sia la discesa, trovi ancora salita.
Il cammino è una unica strada. Lo intraprendi quando hai paura di sbagliare o quando hai già sbagliato. Quando hai bisogno di una direzione sola.
Davanti a me una figlia adolescente con il padre. Un percorso per insegnare, fianco a fianco, fino alla tappa successiva, fino a che non si è trasmesso il sapere. E  poi consegnare chi ami alla vita, dove le strade sono molte e devi saper scegliere la tua.
A Manjarin, paese fatto di una sola casa, sorrido all’obiettivo mentre dietro di me  un cartello
indica le distanze con le  principali località del mondo: Machu Picchu 9453 km.
El Acebo mostra i suoi tetti di ardesia alla fine di una ripida discesa. Il paese fatto di sassi e legno si snoda lungo la via dove passano i pellegrini. La prima fermata di questa tappa, dove ci si toglie lo zaino, si mangia una mela e  sostano anziani con gli occhi giovani. Parlano di progetti e sogni con lo sguardo acceso. Con la sventatezza di chi non ha esperienza o saggezza. O forse con chi ha deciso di buttarla via.
Il sentiero è ancora lungo, più di metà strada. Diventa scosceso e faticoso sotto il sole.
Ma ecco alla fine  la calma di Molinaseca e i bambini che nuotano nel Meruelo.



Santiago de Compostela

A volte la meta non è un arrivo. Quando hai raggiunto quello che hai inseguito con così tanta fatica, quando hai conseguito lo scopo, realizzi che aveva valore solo il percorso.
Ho intrapreso il mio viaggio tanti anni fa quando mi sono resa conto di quanto mi infastidissero i confini. Quando nei miei sogni è apparso il volo: un’altra dimensione, un altro modo di guardare.
Essere sopra le cose con occhi sereni, cercare quello che le strade calpestate da gente indaffarata, mangiate dalle automobili non mi potevano dare.
Ho cominciato il cammino quanto ho cominciato a desiderare una guida.
Come un topo della fiaba dei F.lli Grimm ho cercato il pifferaio magico. Ho cercato regole come mattoni, paletti come recinzioni di un percorso.
Santiago è grigia e brulicante di vita. Bucherellata dal tempo.
La cattedrale è possente. Da plaza Obradoiro la pietra cupa delle torri, infestata qua e là dal muschio giallo, si impone come una falesia. Incurante dei venti.
La Porta Santa è aperta quest’anno di Giubileo. Numerosa è la gente in fila fuori per  abbracciare il santo, ringraziarlo per il cammino, per le persone che l’ hanno accompagnata e aiutata nel percorso.
Tante mani passano attorno alle spalle di questo povero vecchio soffocato da così tante suppliche.
La chiesa è gremita per la messa del Pellegrino. C’è gente che si ritaglia un posto tra il basamento delle colonne. E poi, alla fine,  il rituale. Arrivano otto uomini vestiti di rosso: il Botafumeiro, il grande incensiere, viene abbassato  e fatto oscillare dal contrappeso verso l’alto.
Dopo il fumo, dopo l’incenso, la chiesa si svuota.
Io indugio ancora verso la statua del santo. Lo guardo. Non mi risponde. Giro la faccia verso la luce che si intravede dal portone aperto. Abbasso gli occhi sul  bastone, la conchiglia che vi ho legato, la bottiglia. Butto lo zaino sulle spalle.
Ancora strada da fare.

Autore: Luciana Buttignol

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