L’acqua. La porta di un mondo
silenzioso. Fatto di incanti ovattati e di stupori. Sfioro con le mani alla mia
destra dei gialli anemoni di mare e più in là le livree colorate e gli
alcionari, trasparenti ragnatele di mare, fluttuanti come galaverne. Inaspettate magie, delicati
merletti.
E poi stelle canestro. E polipi carnosi. E meduse rosa. Che scendono
davanti agli occhi come bolle di sapone. Si appoggiano alla mia mano delicate.
E io non stringo.
Mi immergo con una elegante spinta di reni
ancora più giù. Dove l’acqua diventa più scura
e il mondo più lontano e io sono la sola.
Un naturale colpo di pinne. Una
virata. Questo mio corpo che si muove senza sforzo sott’acqua. Potrei
essere un pesce o una sirena.
Questa vacanza da sola è per mettermi
alla prova. Fuori c’è il deserto.
Mi piacciono i grandi spazi.
Mi piace la luce del giallo. Mi piace
il suo odore. Il silenzio.
Mi piace questo mio essere nell’acqua
senza consistenza, senza corpo . Non lo sento, non c’è.
Non devo pensare per nuotare. Sono le
mie gambe che vanno.
Mio padre diceva che non avevo ancora
un anno e avanzavo nell’acqua sempre più fonda, senza fermarmi. E l’acqua mi arrivava all’altezza della bocca,
degli occhi e ancora andavo.
«Ho dovuto correre a prenderla!» raccontava.
«Non sarei annegata papà, avrei
nuotato».
La conosco, l’acqua è un mio elemento.
Anche in questo posto, quando si fanno
delle escursioni, mi mettono capogruppo. Ma io mi perdo, lo perdo, il gruppo.
Seguo le mie emozioni. Ho bisogno di provare da sola. Di misurarmi.
Ho indubbie capacità, ma non è da me
guidare. Io ho sempre sete di imparare. Di andare oltre. Datemi un Maestro e
sarò felice. Felice di seguire le sfumature verdi di un pesce pappagallo o i
ghirigori rossi in un balestra striato.
E sempre le mie mani cercano di
toccare: il tatto uno dei sensi per me fondamentali.
Ho bisogno di sentirle, le cose, con
le mani. E allora mi entrano, le possiedo. Nel mio ribelle bisogno di
sconfinare. Con questo mio corpo che ha braccia che possono diventare ali e
piedi pinne caudali. Avrei potuto essere
farfalla o pesce.
Un ondulato movimento di spalla ed
eccomi nel vortice danzante dei numerosi pesci farfalla. Come nuotatrici sincronizzate si raggruppano e si allargano
in una coreografia magistrale.
Gialli ventagli di geishe. Contrasti
abbaglianti. Colori dipinti sul velluto.
E poi li vedo avanzare alla mia
sinistra, questo fitto banco di pesci argento. Hanno una direzione. Senz’altro
una meta. Sono sicuri nel loro saper
dove andare. Un richiamo ammaliante. Entro.
Sono una di
loro. Si allontanano in mare aperto e io in mezzo, senza alzare la testa e
senza un punto di riferimento. Muovo i miei occhi, le mie anche come loro e per
questo breve tratto di mare ho cambiato pelle, genere, specie.
Autore: Luciana Buttignol
Nessun commento:
Posta un commento