Rende trasparenti i colori. Una tavolozza autunnale ed invece
è già tarda primavera.
Quando arrivo alla sommità di Diamond Hill lo scenario mi
immobilizza: un panorama liquido dove le case diventano parte fondamentale del
paesaggio. Lo incorniciano. Lo definiscono.
Più prepotenti della baia, dell’azzurro del mare. Delle nuvole, come strappi di
zucchero filato.
Sono sospesa in questa terra di orizzonti circolari.
Incredula che gli altri turisti continuino a camminare.
Questo è il Connemara.
Un luogo dove gli ampi spazi non stanno dentro al fuoco
degli occhi umani. E allora sei sempre un po’ confuso, stordito.
L’Irlanda mi ha preso la mano e inaspettata ha trovato la
strada per quella parte selvaggia e istintiva che nascondo per convenzione
dentro di me.
L’auto che
ho noleggiato attraversa la Route 59 tra pini, paesaggi d’alta montagna,
pioggia, arcobaleni.
E pecore. Accucciate. Bagnate. Sperdute. Camminano in mezzo
alla strada. Con il pelo colorato di fucsia per marcarle. Il muso nero.
Incuranti del tempo, dentro il tempo. Contrastano con il grigio del cielo, con
il verde muschio dei rilievi. Eppure non riuscirei a toglierle da questo
ambiente.
Ormai sono nel quadro che ho archiviato dietro i miei occhi.
La torbiera
si inerpica in mezzo il vento, lungo un sentiero che fa da crinale e che porta
a lande grasse e scure. Cammino dietro una coppia di persone che scendono da
una jeep e raggiungono altri lavoranti che sollevano, caricano.
Un cenno con la mano. Un saluto.
Raccolgono torba. Umida e poi stesa a seccare come grandi
carrube. Cerco un odore. Un profumo particolare. Qualcosa da archiviare dentro
il cuore.
Ma la torba è terra. Ha l’odore del vento che sa di erica e di pini e delle piante di fucsia e
del calore che sale attraverso gli abiti
dal proprio corpo.
L’Irlanda è fatta di strade che scompaiono nel verde, di
acqua che gonfia la terra e i colori.
Potrei perdermi in questo paese silenzioso dove una volta tanto è la natura a parlare.
Non puoi andare in Irlanda se non sai ascoltare.
John mi
parla e quei suoi occhi accattivanti e malandrini, quella sua cordialità
tipicamente irlandese mi ricordano l’asprezza di questa terra, le difficoltà di
chi in passato è dovuto emigrare. La
scorza morbida di chi è rimasto. Come il mallo prima della noce.
Ed è John che mi racconta del luogo roccioso dei Burren, una
sera in cui la primavera non vuole proprio arrivare e così ha acceso un bel
fuoco nel camino e al pub vicino qualcuno ha intonato una ballata.
«Ci devi andare» mi
dice.
La salita
che parte dalla Route 67 è ripida. Ma
quando raggiungo la sommità in questa tersa giornata di sole, apro le braccia e
provo a volare. Perché tra questi
arsi tavolati di calcare bianco, posso
dominare cascate di pietra come salti,
da una collina all’altra, fin dove arriva lo sguardo, fino alla linea del
cielo. Potrei essere un airone o un falco pellegrino.
Una astronauta che alluna senza protezione.
Ho lasciato
l’Irlanda e ho fotografato i suoi fiori:
ginestre, genziane, fucsie.
Ho fotografato anche una volpe che attraversava la strada
dopo il passaggio della mia auto. Era insieme al suo piccolo. Ho frenato, sono
scesa, ho puntato l’obiettivo. Uno scatto veloce, anche per lei: se ne era già
andata. Un’ombra, un contorno, rimasti memorizzati nei pixel della mia macchina
da presa.
Autore: Luciana Buttignol
Riferimento:
http://www.irlandando.it/457-i-vincitori-del-concorso-letterario-lirlanda-nel-cuore/
Autore: Luciana Buttignol
Riferimento:
http://www.irlandando.it/457-i-vincitori-del-concorso-letterario-lirlanda-nel-cuore/
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