sabato 28 gennaio 2023

HARRY PRINCIPE CADETTO: DA CAPRARICA A SPARE

 


    Diana è stata una stella che ha coperto molti cieli. Credo che tutti si ricordino (almeno quelli della mia età) il momento esatto in cui hanno saputo della sua morte e lo sbigottimento e amarezza che li hanno stretti.
Diana era entrata (non so spiegare il motivo) nel sangue della gente come un legame parentale. Un fenomeno imparagonabile. Gli unici che non se ne sono accorti e solo questo starebbe a dimostrare la gabbia emotiva in cui sono rinchiusi, sono stati i reali parenti.
La regina Elisabetta  vedeva Diana come il risultato di una mossa sbagliata nella scacchiera   (interpretata in maniera perfetta da Hellen Mirren nel film La Regina-2006) e l’aveva scartata  per tanti motivi: una stella offusca, mette in ombra anche chi vestendosi di colori pastello deve essere immediatamente visibile.
E arriviamo a Harry, secondo figlio della coppia Carlo e Diana, dodicenne all’epoca della morte della madre.
Molto legato a lei dopo la separazione, quando il padre aveva definitivamente tagliato fuori la consorte ed aveva ottenuto quello che inseguiva (da più di 20 anni?): condividere la sua vita con l’altra donna amata da sempre
Nei tanti anni successivi i due ragazzi  sono stati presentati uniti al mondo come prosecuzione di quella stella che si era spenta cruentemente. Poi vabbè Harry più turbolento, William più compassato e protettivo, quasi una spalla per il fratello. Una consolazione, se fosse stato vero. Solo che vero non era.
 

 

Eccoci a “Spare, il minore” autobiografia del principe  scritta da un famoso scrittore premio Pulitzer J.R. Moehringer redatta su sentimenti, storia e vicissitudini di Harry.
Sono anch’io una minore e so quanta gelosia ci possa essere da parte del figlio/figlia maggiore. Dopo tutto è un sentimento naturale: dapprima si è soli, unica attenzione e centro dei genitori  poi arriva un altro che  porta via l’esclusività dell' amore. Subentra un meccanismo di difesa ampliato dal fatto che in questo caso  si parla di un futuro re.
La prima grande rivelazione in Spare è che questo sodalizio tra fratelli non c’era proprio. C’era un Harry che zompettava dietro a William e quest’ultimo che lo allontanava.
Alcuni anni fa mi fece impressione una intervista (se ne parla anche nel libro) dei due fratelli quando si addestravano come piloti. William sfotteva continuamente il minore, voleva ribadire la propria superiorità, lo denigrava, ne snocciolava difetti. Era ironico? Era fastidioso.
E’ William, a mio avviso, il più affondato nel libro. Forse proprio perché non ci si aspettava un William:
-    Suggeritore del vestito da nazista indossato da Harry  che fu condannato dalla stampa e dall’opinione pubblica (per scusarsi Harry incontrerà il rabbino capo di Londra);
-    Che ordina al fratello di non avvicinarsi a lui durante il periodo scolastico di Eton;
-    Incavolato nero perché era stato concesso allo sposo Harry di tenere la barba mentre a lui  no,tanto da cercare di imporre il proprio titolo di futuro re perché se la tagliasse;
-    Ancora brillo di rum al proprio matrimonio;
-    Dubbioso per il matrimonio di Harry tanto da far intervenire gli Spencer (fratello di mamma);
-    Rigido e infastidito dall’abbraccio di Meghan appena conosciuta;
-    Invidioso per le iniziative umanitarie del fratello: ustionante la battuta " L’Africa è roba mia";
-    Mai solidale col fratello negli attacchi della stampa, nemmeno quando erano i Cambridge ad essere attaccati;
-    Aggressivo e fumantino nei vari tentativi di chiarimento tra fratelli (ma lo aveva già scritto Robert Jobson nel libro "William at 40"); 
-    Responsabile dell’aggressione ad Harry per lamentarsi di Meghan , aggressione che gli procurerà una ferita sulla schiena;
-    Tramaccione con la famiglia per espellere Harry dalla istituzione reale completamente, senza titoli, appoggi e sicurezza.  

Hai presente quando apri la porta al gattino e lui resta lì un po’ incerto se andare dentro o fuori e allora tu col piede gli dai una spintarella? Ecco è andata così. Il piede era di William.



Antonio Caprarica giornalista corrispondente inglese e conoscitore della casa reale, appena i giornali hanno strillato alla Megxit ha ribadito che di erede al trono ce n’ è uno solo e i Sussex non accettavano di essere  secondi. I giornali inglesi hanno titolato come l’allontanamento fosse dovuto all' intenzione della coppia di fare più soldi con i titoli e il marchio Sussex Royal.
La versione dei Sussex capricciosi e poco umili  anticipata da feroci articoli di giornale verso Meghan  era su tutti i tabloid. Se da una parte veniva elogiato il comportamento dei Cambridge, dall’altro veniva sottolineata l’ingratitudine del figlio cadetto  che conti alla mano avrebbe fatto fagotto e  abbandonato la nave.
La realtà era diversa. Ed è per questa verità che Harry ha scritto “Spare”. C’era bisogno da parte sua di raccontarci il dietro le quinte della storia ufficiale passata ai tabloid ad uso e consumo dei lettori di pettegolezzi.
Ho letto l’ultimo libro di Caprarica “Harry e William da inseparabili a nemici”. L’ho iniziato quasi in contemporanea a "Spare" e gli episodi riportati sono più o meno gli stessi nei due testi, anzi Caprarica affonda ancora di più negli sgarbi fatti ad Harry.

 


Aveva però sbagliato nel pensare che  la rottura del legame tra fratelli fosse piuttosto recente, in realtà questo reciprocità di legame non c’era mai stata.
Nei due testi c’è una differenza sostanziale di vedute. Ad Harry che  dice: mi è stato fatto un torto continuo, Caprarica risponde: questo è il destino di un cadetto con i suoi scotti e i privilegi. E’ da accettare.
"Spare" nel web ha ricevuto soprattutto critiche. Definito  lamentoso, infantile, immaturo, poco acculturato. In parole povere: cresci Harry così è la vita, come se il famoso detto "il denaro non fa la felicità" nel suo caso non avesse valore.
Al contrario il libro è stato valutato positivamente dagli addetti al mestiere sia come modalità di stesura, un esempio di scrittura moderna, sia per il modo in cui sa avvolgere il lettore e gli fa superare le oltre 500 pagine.
Gli elementi per un grande romanzo ci sono tutti in barba a chi non lo ha letto avendo il pregiudizio che si trattasse  solo di gossip.
Il libro ruota attorno ad un grande trauma mai risolto nonostante la terapia. Una sofferenza che Harry ci trasmette in ogni pagina del libro. Debolezza? No, allora siamo deboli tutti. 


Certo le famiglie disfunzionali sono tante come sono tante le persone che le vivono in maniera diversa.
Io e credo tanti altri lettori percepiscono questa sofferenza e la comprendono. Harry è una vittima come tanti. Ci identifichiamo in questo male di vivere, nell’incapacità di trovare un equilibrio. Nella vergogna di non farcela da soli anche se non viviamo in una reggia.
Immaginatevi crescere con queste fragilità in un mondo in cui la facciata deve essere perfetta e non sono permesse incertezze.
Immaginatevi di non poter nemmeno dire: ”non è vero” quando vengono pubblicate falsità su di voi.
Quando cercate di fare di tutto per riappropiarvi della vostra identità e non vi è permesso. Certo rimanere in quell’ambiente per guarire era impossibile.
Tante volte i terapeuti stessi allontano chi hanno in cura dalla famiglia.

Chi ne esce male da questo racconto? A parte William che però ha da parte sua la giustificazione di aver vissuto lo stesso trauma e la stampella di futuro re, Kate ne esce davvero male. E mi dispiace per il suo sorriso  dolce e anche birichino dei primi tempi.
Ne esce bene a mio avviso Carlo (quando non è con Camilla), anzi molto bene. Non me lo sarei aspettato, si percepisce l’amore di questo padre poco espansivo che  fa salti  con la sua indole/educazione per essere comunque un padre meglio ti tanti, aggiungerei io.


Meghan è la molla che ha fatto scattare  il protagonista, chiaramente idealizzata e resa perfetta attraverso gli occhi di un innamorato. Oggettivamente poco credibile in alcune affermazioni ma non importante per il significato del libro che è altro. Ognuno in questo romanzo può trovare qualcosa per sé.
Finirei riportanto la chiusura di Gramellini nell’articolo sul Corriere della Sera:
"Preso dunque atto della bella atmosfera che si respira in quelle stanze, ho finalmente compreso a che cosa serve la famiglia reale inglese. A rivalutare la nostra".


martedì 3 gennaio 2023

RESIDENZE PER ANZIANI ( prima del covid)

 

 


Mi è difficile parlare delle case di riposo come familiare. L’immaginario comune ritrae un nonnino recalcitrante spinto con varie lusinghe a “sistemarsi” servito e riverito in una stanza con finestra, con accanto i suoi ricordi, hobby preferiti e i parenti amorevolmente in visita.
Qui siamo al nord, dove le strutture sono riconosciute di buona qualità, ben lontane da certi servizi sui maltrattamenti che si vedono in tv, o letti invasi da formiche.
Però ci sono molti fattori per cui sconsiglio di portare il vostro caro:


1.    Il punteggio per entrare in una struttura pubblica con rette intere che si aggirano sui 2.500 € o ridotte 1500€ deve essere molto alto. Su questo punteggio incidono parecchio  le capacità cognitive (demenza) ecco che le persone che si trovano ricoverate sono al 90% non presenti mentalmente. Non ci sono nuclei che riuniscono tutte le persone  con ancora buone capacità intellettive. Gli ospiti  che potrebbero relazionarsi si ritrovano tra  ammalati, allettati, chi pettina bambole, chi impreca. Perché se c’è una cosa che ho appreso è che ognuno “esce dai binari” a modo suo.


2.    Le case di riposo sono dinosauri per tanti lati inamovibili. Le regole principali sono il rispetto delle regole. E’un meccanismo complesso che lascia poco spazio all’individualità.
Una volta entrato nella struttura l’ospite perde la sua identità: diventa parte di un ingranaggio. Per certi versi diventa proprietà della struttura e ogni tentativo da parte dei familiari di ingerenza nell’accudimento (malattie comprese) e nel portarne avanti le caratteristiche di vita preesistenti sono ostacolate.
Qualsiasi banale deviazione del meccanismo come far fare la piega capelli al proprio caro dall’altra parrucchiera della casa se una è in ferie diventa una montagna insuperabile, a cui bisogna rinunciare in partenza. 
Poi, si sa, molto dipende dalle persone che vi lavorano. C’è chi capisce, chi lascia correre, chi lo vede come un affronto e cerca in tutti i modi di allontanare il parente-familiare.
La macchina deve andare avanti.

3.    Le case di riposo sono adatte a chi non vuole o non può seguire il proprio caro. In tal caso ( e parlo per quelle del nord Italia) sarà garantito un buon accudimento (raramente ho trovato operatrici inefficienti) un servizio medico, pulizia. Sono un toccasana  per le famiglie che hanno i propri cari affetti da demenze gravi nelle quali ogni relazione anche quella più stretta si evapora.


4.    La casa di riposo è una struttura gerarchica dove le ambizioni dei “capi” si sfogano in ordini e regole che talvolta finiscono per schiacciare i principi.


5.    C’è una facciata di efficienza da mostrare. Allora ecco iniziative, manifestazioni, cerimonie. Però io non ne ho mai sentito l’anima di fondo. C’è molta organizzazione interna: l’anziano è sui depliant, sulle parole, sullo sfondo.


6.    Non ho percepito la struttura come una grande famiglia, nemmeno come una pensione, piuttosto come un collegio/caserma. La mia probabilmente era una aspirazione utopica. Una incoscienza. E’ anche vero che ci sono problemi di responsabilità, sicurezza, parametri economici che limitano una costruzione diversa.
In conclusione tenete il vostro caro a casa fin che potete, magari con una badante. Pensate al piano B. Poi se lo mettete in una casa di riposo siatene convinti e accettatene il sistema. E se avete il cuore instabile sarà fatto a pezzi.

 

l'articolo sopra è frutto di considerazioni personali  dovute alla mia esperienza in una struttura.  Altre esperienze possono divergere.