sabato 16 luglio 2016

ANDATA E RITORNO

Quando il viaggio non è solo lo spostamento nello spazio ma anche nel tempo. Alla ricerca di affetti accantonati, ma mai chiusi.




ANDATA E RITORNO







   Nonna Angela era vestita di nero quando salì sul treno alla stazione di Porretta.
Si era nel 1939 e lei accompagnava i suoi padroni  che si stavano trasferendo a Pistoia.
Nei suoi racconti quel viaggio, che poi è il viaggio, raccontava di cassoni, bauli neri col lucchetto che raccoglievano masserizie, tende, arredi che avrebbero adornato una nuova casa.
Non la sua, però. La sua era una casa bassa di Porretta in un cortile scalcinato che talvolta faceva da aia per gli animali che scappavano dalla stalla vicina.
Era il suo primo viaggio in treno e lei, vedova di un ferroviere, se ne vantava.
“Il biglietto me l’hanno pagato” diceva. “Anche se io avrei potuto viaggiare con  lo sconto di mio marito”.
Mi parlava di prati che dal finestrino scorrevano, acque intraviste tra fronde di alberi che non si lasciavano catturare.
Nonna Angela ritornò dopo due mesi. Ma il viaggio del ritorno non fu come quello dell’andata.
Era inverno, il buio nascondeva tutto e i finestrini rimbalzavano le facce dei passeggeri.
Un fagotto con  pane e cotechino da scartare tra le borse, sul sedile del treno.
“ La padrona,” ricordava lei. “Mi voleva bene”.
Al suo ritorno  se ne andò  da certi parenti in Veneto. La guerra si avvicinava.
Trovò una casa in affitto vicino alla ferrovia dove il figlio ci portò anche la moglie una volta maritato.
Fu lì che nacqui io. Con la finestra che dava sulla rete che recintava i binari.
L’odore di carbone e di traversine, di attese e del fischio del treno.
Più tardi costruirono un cavalcavia e io correvo veloce fin sopra il colmo e guardavo giù. I treni e la stazione.
Gente che partiva, calore di sedili. Tutti gli odori raccontati dalla nonna, tutti gli odori che sentivo.
Mi immaginavo seduta in uno scompartimento vuoto, in una umida giornata autunnale dove le cose sono più facili da lasciare. E la nebbia che snatura i luoghi mi avrebbe accompagnato insieme al treno che partiva verso lo sconosciuto, l’altrove.
Nonna Angela, mi voleva bene, talvolta me lo sento ancora addosso. Come un regalo perduto.
Mi parlava del nonno e dei treni, di quella volta che  al passaggio a livello aveva chiuso le sbarre ai fascisti che stavano inseguendo un gruppo di oppositori.
“ Ma quanto tempo, li ha fatti aspettare?” chiedevo.“E quando poi il treno non si è visto arrivare?”
“ Oh, le sbarre le ha alzate dopo, a certi ordini non ci si può rifiutare, si può solo tergiversare. Far passare un po’ di tempo. A volte basta”.
E così ho imparato anch’io a tergiversare. A ritardare quel tanto che basta a permettere a un treno di partire. Da Mestre a Bologna, da Bologna a Porretta.
In una stizzosa giornata primaverile ho fatto il viaggio a ritroso. Alla ricerca di luoghi sentiti. Per poco.
La casa, quella con l’aia, non c’era più. Al suo posto c’era un supermercato. Così mi ha detto un parente (suppongo) che ho ritrovato. Ci siamo parlati da estranei, imbarazzati.
Due vite diverse che non si sarebbero più incontrate. Fra noi solo un po’ di cortesia.
Il calore dei ricordi che si smarrisce nel vuoto.
Poi, prima di andarmene, le sue parole:
“Ma sì, mi viene in mente suo nonno, non era quello che ha fermato il treno?”
Un sorriso che sale dal profondo e mi arriva agli occhi:
“ No, ha solo abbassato le sbarre, sa nella vita ogni tanto è importante anche tergiversare”.

Autore:  Luciana Buttignol

Riferimento:http://carotreno.blogspot.it/
 
 
                                                                                           

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