giovedì 28 luglio 2016

L'ACQUA





    L’acqua. La porta di un mondo silenzioso. Fatto di incanti ovattati e di stupori. Sfioro con le mani alla mia destra dei gialli anemoni di mare e più in là le livree colorate e gli alcionari, trasparenti ragnatele di mare, fluttuanti  come galaverne. Inaspettate magie, delicati merletti.

E poi stelle canestro. E  polipi carnosi. E meduse rosa. Che scendono davanti agli occhi come bolle di sapone. Si appoggiano alla mia mano delicate. E io non stringo.

Mi immergo con una elegante spinta di reni ancora più giù. Dove l’acqua diventa più scura  e il mondo più lontano e io sono la sola.

Un naturale colpo di pinne. Una virata.  Questo mio corpo  che si muove senza sforzo sott’acqua. Potrei essere un pesce o una sirena.

Questa vacanza da sola è per mettermi alla prova. Fuori c’è il deserto.

Mi piacciono i grandi spazi.

Mi piace la luce del giallo. Mi piace il suo odore. Il silenzio.

Mi piace questo mio essere nell’acqua senza consistenza, senza corpo . Non lo sento, non c’è.

Non devo pensare per nuotare. Sono le mie gambe che vanno.

Mio padre diceva che non avevo ancora un anno e avanzavo nell’acqua sempre più fonda, senza fermarmi. E  l’acqua mi arrivava all’altezza della bocca, degli occhi e ancora andavo.

«Ho dovuto correre a prenderla!» raccontava.

«Non sarei annegata papà, avrei nuotato».

La conosco, l’acqua è un mio elemento.

Anche in questo posto, quando si fanno delle escursioni, mi mettono capogruppo. Ma io mi perdo, lo perdo, il gruppo. Seguo le mie emozioni. Ho bisogno di provare da sola. Di misurarmi.

Ho indubbie capacità, ma non è da me guidare. Io ho sempre sete di imparare. Di andare oltre. Datemi un Maestro e sarò felice. Felice di seguire le sfumature verdi di un pesce pappagallo o i ghirigori rossi in un  balestra striato.

E sempre le mie mani cercano di toccare: il tatto uno dei sensi per me fondamentali.

Ho bisogno di sentirle, le cose, con le mani. E allora mi entrano, le possiedo. Nel mio ribelle bisogno di sconfinare. Con questo mio corpo che ha braccia che possono diventare ali e piedi pinne caudali.  Avrei potuto essere farfalla o pesce.

Un ondulato movimento di spalla ed eccomi nel vortice danzante dei numerosi pesci farfalla. Come nuotatrici  sincronizzate si raggruppano e si allargano in una coreografia magistrale.

Gialli ventagli di geishe. Contrasti abbaglianti. Colori dipinti sul velluto.

E poi li vedo avanzare alla mia sinistra, questo fitto banco di pesci argento. Hanno una direzione. Senz’altro una meta. Sono sicuri  nel loro saper dove andare. Un richiamo ammaliante. Entro.

Sono una di loro. Si allontanano in mare aperto e io in mezzo, senza alzare la testa e senza un punto di riferimento. Muovo i miei occhi, le mie anche come loro e per questo breve tratto di mare ho cambiato pelle, genere, specie.

Autore: Luciana Buttignol

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